Settimana scorsa un uomo di 28 anni è morto nel Cpr di Gradisca d’Isonzo. L’ennesima morte all’interno di queste strutture, dove le persone vengono detenute per l’unica “colpa” di non avere un documento valido per la permanenza in Italia. Solo a gennaio, nello stesso Cpr era morto un 37enne proveniente dalla Georgia.
“Morti di stato”: così scrive Emira Kola, operatrice sociale e attivista del Forum per cambiare l’ordine delle cose, per la sezione di Bolzano, in un contributo che diffondiamo. Morti su cui troppo spesso cala un silenzio non più tollerabile, e su cui si può rilevare anche una certa assuefazione, rispetto a qualcosa che invece non è assolutamente normalizzabile.
Ringraziamo Ermira per il testo – di seguito – che apre riflessioni su cui come società è nostro dovere soffermarci.
Morti di stato.
Ovvero della verità che non si saprà mai.
“E la pietà vi rimanga in tasca”.
Negli ultimi anni, per scelta mia e per scelta dei politici di turno, ho in qualche modo assistito a diversi morti di stato.
Il primo fu il ragazzino eritreo. Fecero una piccola cerimonia per lui, accanto ai binari del treno che non era riuscito a scavalcare.
Vennero anche dei politici. Venne la stampa. Dicemmo: “mai più”.
“Mai più”, mai più una cerimonia forse.
C’è stato il ragazzo gambiano. Anche lui morto di notte, anche lui per un salto sbagliato.
C’è stato il ragazzo tunisino. Si era fatto tanto male che i poliziotti ci misero in guardia in occasione del riconoscimento del corpo.
Nessuna cerimonia. “Mai più?”
Settimana scorsa è morto un ragazzo albanese. Aveva 28 anni.
E non riuscivo a capire perchè la cosa mi toccasse tanto.
È morto in mano allo stato. Una settimana fa stava bene, una settimana fa aveva 28 anni.
E adesso avrà 28 anni per sempre.
Ci sono queste specie di “fosse comuni” che chiamano CIE.
Luoghi dove si finisce se si è nati nel posto sbagliato e non si ha avuto la fortuna che ho avuto io di essere considerata degna.
O. è morto.
Oltre alla rabbia, oltre alla delusione, oltre alla paura che non potrò davvero dire ancora :”mai più” questa volta c’è qualcosa di altro.
Ho cercato di capirlo.
Quando morì Naser, mi fece impazzire il fatto che avesse così poco della sua terra intorno;
non sapevo allora e non so adesso come venga vissuto il lutto nella sua terra. Non so cosa dicano alle madri in Niger quando un figlio muore? E quando un figlio muore in terra straniera?
Ho capito. Ho capito perchè ho riconosciuto le urla silenziose squarciare il mio senso di stupore.
Conosco la lingua. Conosco la lingua dei pianti delle madri albanesi.
Le madri soffrono tutte alla stessa maniera forse, ma di questa madre riesco a sentire e comprendere le parole del lutto.
Anche questa madre è condannata all’oblio? Oblio al quale è condannato suo figlio?
O. aveva 28 anni.