Il lavoro svolto dalla Commissione Europea, a proposito del nuovo patto legislativo sulle migrazioni “non consiste nel trovare una soluzione perfetta, ma una soluzione accettabile per tutti”. Le parole della commissaria agli Affari interni con delega alla Migrazione Johansson, palesano tutta la discutibile strategia europea in campomigratorio, che di fatto si propone di bloccare, allontanare, rimpatriare quante più persone possibile, nel modo più veloce possibile. I punti intorno a cui si sviluppa il nuovo Patto europeo su immigrazione e asilo, presentato il 23 settembre, sono infatti:
- più accordi sui rimpatri
- procedure veloci per lo screening in frontiera
- contributi dagli stati nazionali per agevolare i rimpatri
Nonostante la Presidente della Commissione Ursula Von Der Leyen abbia denunciato l’intollerabile numero dei morti in mare, questo patto manca di una strategia che possa prevenirle e l’unico punto su cui tutti concordano è la riduzione degli arrivi irregolari.
L’architettura del Patto è impostata su una presunta solidarietà tra gli stati membri nella gestione della migrazione, di fatto assumendo una serie di azioni per contenere le persone in nuove zone franche di frontiera. Nel concreto la proposta della Commissione UE prevede uno screening di frontiera che dovrebbe valutare il diritto alla richiesta di protezione internazionale: un procedimento che può durare fino a 20 settimane, al termine del quale si potrà essere ammessi oppure respinti. Nell’ipotesi dell’ammissione alla procedura scatta il meccanismo di solidarietà tra paesi, per procedere al ricollocamento dei richiedenti protezione. Una solidarietà che può anche trasformarsi in supporto nelle procedure di rimpatrio: in pratica, piuttosto che continuare a litigare per i rifugiati o richiedenti asilo a cui è permesso rimanere, la Commissione propone che i paesi che rifiutano di accogliere i migranti con diritto alla protezione – secondo logiche e criteri decisi dall’UE – si facciano carico del ritorno in patria di coloro che, secondo le stesse logiche, non possono restare.
Gli scenari che si prefigurano sono presenti nella nostra memoria, se guardiamo cosa accade in questi giorni in Grecia e cosa è accaduto precedentemente in Italia: si prevede l’ingresso in uno stato di eccezione che ricorda il cosiddetto ‘approccio hotspot’, fallimentare e pericoloso, pensato dalla Commissione europea già nel 2015 con l’Agenda delle migrazioni, e sottoscritto dal Consiglio d’europa, con l’obiettivo dichiarato di ridurre la pressione migratoria cui sono sottoposti i paesi esterni dell’UE attraverso un sistema di ricollocamento d’emergenza. 160mila i richiedenti asilo (di cui 40mila dall’Italia) che, secondo questo meccanismo, sarebbero dovuti essere trasferiti progressivamente verso altri paesi membri, dove sarebbero state esaminate le loro richieste di protezione. Per mettere in atto questo sistema il governo italiano attuò trasformò in hotspot il centro di prima accoglienza già esistente a Lampedusa, oltre a predisporre il dispiegamento di funzionari di diverse agenzie dell’Ue.
Mentre la componente di solidarietà dell’approccio hotspot si è dimostrata ampiamente illusoria – con solo 1196 persone ricollocate dall’Italia verso altri paesi europei, sui 131mila arrivi a fine settembre 2016 – gli elementi repressivi, concepiti per prevenire spostamenti verso altri paesi europei e aumentare il numero dei rimpatri, sono stati attuati in modo solerte e anche aggressivo, con elevati costi in termini di diritti umani.
Un anno dopo l’avvio ufficiale dell’approccio hotspot fu chiaro come tutto servì principalmente a riaffermare il regolamento di Dublino, di fatto aumentando – e non riducendo – la pressione sui paesi di primo arrivo nelle azioni di controllo dei confini, protezione dei richiedenti asilo, esclusione dei cosiddetti migranti irregolari.
Il “nuovo patto su immigrazione ed asilo” elaborato dalla Commissione UE è stato presentato come il tentativo di provare a coniugare la sicurezza delle persone che cercano protezione con le preoccupazioni dei paesi di frontiera UE che sollecitano la solidarietà degli altri stati membri. La realtà dei fatti è che il patto impone una chiusura netta, frutto di una politica sovranista e divisa tra gli stati europei, che spingono a livello propagandistico sulla paura di presunte “invasioni” massive di migranti, quando in realtà gli arrivi in tutto il 2019 non hanno superato le 140mila persone, secondo i dati dell’Unhcr.
In questo contesto per la commissaria con delega alle migrazioni Johansson una sola preoccupazione: “Immagino che nessuno stato membro dirà che questa è una proposta perfetta, ma spero che i 27 diranno che è un approccio equilibrato su cui vale la pena lavorare”. Una preoccupazione che non riguarda le vite di migliaia di persone che continuano ad essere considerate una merce di scambio per compromessi politici al ribasso.
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Segnaliamo una breve rassegna per l’analisi del Patto migrazioni e asilo:
Commissione europea
Migration and Asylum Package: New Pact on Migration and Asylum documents adopted on 23 September 2020