Emersione: tempi lunghi e circolari illegittime. Le associazioni al governo: si rispetti la legge e le persone

Ritardi nell’esame delle domande di emersione, e ora anche una circolare del Viminale che aggrava la situazione. E’ quanto denunciato da diverse organizzazioni, tra cui il Forum per cambiare l’ordine delle cose, insieme a ASGI, Amnesty International Italia, ACLI, ActionAid, Europasilo, Intersos, la Campagna Ero Straniero e molte altre realtà impegnate nella tutela dei diritti dei migranti. 
Il 21 aprile il Ministero dell’Interno ha emanato una circolare secondo cui “in ipotesi di conclusione del rapporto di lavoro a tempo determinato nelle more della procedura di regolarizzazione, non sarebbe possibile ottenere il permesso di soggiorno per attesa occupazione”. Di fatto, la circolare specifica che la procedura di emersione può proseguire solo se “il datore di lavoro manifesta la volontà di prorogare il precedente rapporto, o anche di volere nuovamente assumere il lavoratore”; al contrario, qualora “il datore di lavoro non abbia l’intenzione di volere prorogare il rapporto, né di volere nuovamente assumere il lavoratore”, non verrà rilasciato il documento per attesa occupazione. 
Le disposizioni ministeriali risultano illegittime e in contrasto con la normativa, denunciano le associazioni: la legge in vigore prevede infatti che, in caso di perdita del posto di lavoro, anche di fronte a un contratto stagionale, vada rilasciato un permesso per attesa occupazione, con cui l’interessato possa cercare regolarmente un altro impiego.
Oltre a essere illegittime, le indicazioni del Viminale sono anche illogiche: la procedura di emersione è stata pensata proprio per assicurare la regolarità del soggiorno. Nel contesto in cui è stata prevista quella a cui si riferisce la circolare  – ossia la pandemia da Covid19 – la procedura di regolarizzazione aveva anche l’obiettivo di garantire un adeguato standard sanitario a migliaia di persone che vivono e lavorano in Italia da ormai lungo tempo. 

La circolare ministeriale va invece nella direzione opposta: per questo le associazioni, in una lettera indirizzata a Ministeri e Governo, ne chiedono la revoca immediata, facendo anche notare che se le domande di emersione fossero state prese in carico in modo tempestivo, sarebbero stati pochi i rapporti di lavoro conclusi durante la procedura stessa. I tempi di presa in carico delle domande sono infatti lentissimi: oltre 200 mila persone hanno avviato la procedura per l’emersione, ma sono pochissime quelle che hanno avuto una risposta e che, a distanza di quasi un anno dall’invio delle domande, restano ancora in attesa, come denunciato dalla campagna Ero Straniero in uno specifico report.

Tale situazione non è più sostenibile, considerando lo stato di incertezza e insicurezza in cui sono costrette migliaia di persone che vivono e lavorano in Italia. Di fatto, chi vuole uscire dall’invisibilità viene ad oggi penalizzato. Non servono circolari contrarie alla stessa legge, ma lo snellimento delle pratiche e una reale volontà del governo di tutelare le persone.
Nello specifico, servono precise indicazioni alle Questure, per chiarire che:
– in caso di cessazione del rapporto di lavoro con cui è stata avviata la procedura di emersione, vi sia il rilascio di un permesso per attesa occupazione a meno che non sia comprovato che la domanda non sia stata presentata strumentalmente per il rilascio del titolo di soggiorno;
– non sussistono limiti categoriali nell’accesso al nuovo impiego con diverso datore di lavoro.

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