Diritti, comunità, responsabilità: dalla Terza assemblea nazionale del Forum, con uno sguardo di impegno verso il futuro.

Due giorni di scambi, confronti, discussioni. Oltre settanta persone, arrivate da tutta Italia: chiudiamo con soddisfazione Territori accoglienti, la terza assemblea nazionale del Forum per cambiare l’ordine delle cose. Un appuntamento che ci ha visti finalmente insieme, dopo anni di incontri online, e che ci ha permesso di guardare quanto fatto finora, per proiettare il nostro sguardo, e soprattutto il nostro impegno, verso il futuro.

Diverse le realtà intervenute, da quelle che hanno già intrecciato percorsi con il Forum, ad altre con cui immaginare nuove sinergie: CNCA, Re.Co.Sol., SAI Unione Montana Comuni Mugello, Cospe, Ya Basta Restiamo Umani, Fondazione Migrantes, Europe Must Act, tra le altre. Scarse invece le presenze istituzionali: con l’esclusione del Ministero delle Infrastrutture – nella persona di Barbara Casagrande – e del MIUR – con Vinicio Ongini –, oltre che del senatore indipendente Gregorio De Falco, registriamo con delusione l’assenza di altri rappresentanti, in particolare del Ministero del lavoro e di quello dell’interno, con cui avremmo voluto discutere e confrontarci sui temi emersi.

L’accoglienza che non c’è e i diritti negati            
Al centro del dibattito il sistema di accoglienza: che in realtà sconta il fatto di “non essere un sistema”, come evidenziato da Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà e membro del Forum per cambiare l’ordine delle cose. “Adesione volontaria, tempi di attuazione troppo lunghi, scarsa integrazione con il welfare locale rendono il SAI un progetto, che non decolla e rimane marginale”, ha denunciato Schiavone, ripercorrendo anche il dossier elaborato dal Forum “Mappature del reale per un futuro da cambiare”. Alle parole di Schiavone hanno fatto eco quelle di Emiliano Monteverde, membro dell’assessorato alle politiche sociali di Roma, che ha confermato la necessità di puntare al SAI e farlo passare “da progetto a sistema”. Secondo Monteverde si deve e si può fare, anche rispondendo alle sollecitazioni del momento: “La città di Roma deve essere una città accogliente per chiunque fugga da situazioni di crisi e guerre. Oggi la solidarietà mossa nei confronti del popolo ucraino è qualcosa di formidabile: deve estendersi a chiunque si trovi nella necessità di scappare dal proprio paese”, ha affermato.

Alla due giorni sono intervenuti anche i rappresentanti di due ‘paesi accoglienti’: Franco Balzi, sindaco di Santorso – piccolo comune di 6000 abitanti nell’alto vicentino – e Giovanni Manoccio, ex sindaco di Acquaformosa, in Calabria, hanno portato a Territori Accoglienti la loro esperienza, diversa ma simile, di piccoli comuni che hanno puntato sul SAI, sull’accoglienza a bassa soglia, integrata con il territorio, in cui scommettere sul concetto di “responsabilità allargata” come evidenziato da Balzi. La politica nazionale deve fare la propria parte, rispondendo ai bisogni dei territori e garantendo “maggiore flessibilità e snellendo la burocrazia dei progetti di accoglienza”, come sottolineato da Manoccio.      Santorso e Acquaformosa sono solo due esempi tra i tanti che abbiamo incontrato come Forum per cambiare l’ordine delle cose, e mostrano come l’accoglienza a bassa soglia, integrata con il territorio, attenta ai bisogni delle persone e della comunità, si possa fare: basta sceglierla!

Casa, lavoro, accesso al welfare: la necessità di vere garanzie   
“Quella dell’accesso alla casa è un’esigenza innegabile e fondamentale”: con queste parole Giovanna De Salvo del CNCA (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza) è intervenuta su una questione aperta ormai da anni nel nostro paese, dove il diritto all’abitare è tale più sulla carta che nella realtà. Un problema che grava su molti cittadini di origine straniera, che spesso scontano anche la presenza di comportamenti discriminatori e l’assenza di garanzie economiche ascrivibili a una rete familiare. Se guardando a questa questione spesso si parla di “emergenza abitativa”, la verità è che il problema non è emergenziale bensì strutturale: dunque, necessita di risposte politiche organiche e di lungo respiro. “L’idea della casa deve cambiare, in funzione di una società che oggi ha bisogni diversi”: così Barbara Casagrande, della Direzione generale per l’edilizia statale, le politiche abitative, la riqualificazione urbana del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibile, che rispondendo alle sollecitazioni ha incluso nel concetto di “abitare” non solo la necessità di garantire case, ma di costruire comunità: “Il focus è abitativo, ma intorno alla casa si deve pensare a sostenere tutti gli aspetti che creano una società, con un’attenzione specifica all’ambito educativo, aggregativo, di responsabilità collettiva”, ha affermato, portando come proposte politiche l’investimento nel social housing, la riqualificazione di aree dismesse, ma anche il ridisciplinamento degli affitti.          

Altro tema importante affrontato nel corso della due giorni è stato il lavoro: che sempre più spesso è precario, non tutelato, sfruttato. Lamentiamo un grande assente: il Ministero del lavoro non ha preso parte all’assemblea nazionale. Peccato, perché avrebbe potuto ascoltare le molte e utili osservazioni di chi vive le storture di un sistema che blocca e impedisce una reale inclusione, come Abraham Kouassi del Movimento migranti e rifugiati Caserta, che ha ripercorso i molti ostacoli – tra mancanza di tutele, diritti violati, burocrazia e controsensi – che complicano moltissimo la vita di chi lavora in Italia, producendo reddito per l’intera collettività. Grazie agli attivisti di Ya Basta Restiamo Umani, arrivati da Scisciano (Napoli), abbiamo sollecitato le istituzioni a intervenire con urgenza anche sulla riforma del reddito di cittadinanza: a causa delle criticità che la caratterizzano, migliaia di cittadini rischiano illegittimamente di dover restituire migliaia di euro.        

Anche la formazione e l’istruzione sono state al centro del dibattito, che ha visto la presenza di Vinicio Ongini, della Direzione generale per lo studente, l’integrazione, la partecipazione e la comunicazione, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Esperto conoscitore del sistema educativo e dell’impianto scolastico del nostro paese, Ongini ha indicato criticità – ad esempio la segregazione che si crea nelle scuole rispetto a minori con background migratorio, con molti genitori italiani che decidono di spostare i propri figli da classi con una alta presenza di studenti di origine straniera; o anche le basse aspettative che il sistema scuola ha su questi ultimi – ma anche nuove prospettive da approfondire all’interno dei percorsi formativi, su cui impegnarsi insieme, dalle istituzioni alle associazioni. “Il multiculturalismo è una di queste grandi sfide: porta difficoltà, certo, ma opportunità enormi che non dobbiamo farci scappare” ha affermato Ongini, sottolineando che “la scuola multiculturale è un vantaggio per tutti: è in queste scuole che si fa esercizio del mondo”. Un tema importante, perché, come ricordato dallo stesso Ongini, “la cittadinanza comincia da piccoli”. E proprio sul tema della cittadinanza è intervenuto anche un rappresentante delle seconde e terze generazioni nonché membro di Black Lives Matter Roma, Josef Yemane Tewelde, denunciando il clima di esclusione in cui spesso vivono i figli dei cittadini stranieri, condannati da una legge iniqua a non essere riconosciuti come cittadini del paese in cui sono nati o dove sono cresciuti, ossia l’Italia. Una legge la cui riforma, dopo anni di sollecitazioni, è tornata sul piatto del dibattito grazie alla proposta dell’on. Brescia, su cui però si intravedono già alcune criticità come evidenziato da Tewelde: il criterio della residenza dei due genitori del minore, ad esempio, ma anche il legame con specifici percorsi di studio del diretto interessato, rappresentano nodi da sciogliere rispetto a quella che non deve essere più vista come una concessione, bensì finalmente come un diritto.

La due giorni è proseguita con il forte protagonismo dei temi d’attualità: la guerra in Ucraina, ma anche altre situazioni di crisi e conflitti. Molte le voci presenti, tra giornalisti e testimoni diretti: tra le altre Asmae Dachan, giornalista e scrittrice italo siriana, Rahel Saya, attivista e giornalista afghana, Duccio Facchini direttore di Altreconomia. Voci, testimonianze e sguardi che ci hanno interrogato su come fare la nostra parte: sia nei percorsi di inclusione e accoglienza delle persone che fuggono dalle crisi, sia nei paesi in cui queste crisi si verificano, dove spesso entriamo in gioco con dinamiche politico-economiche poco raccontate, ma che si riversano sulla vita delle persone.

Chiudiamo questa terza assemblea nazionale del Forum per cambiare l’ordine delle cose con grande soddisfazione, consapevoli che c’è ancora tanto lavoro da fare, ma che siamo in tanti a volerci impegnare. Ci auguriamo che anche dal piano istituzionale arrivi l’esigenza di ascoltare e confrontarsi, per capire come fare tesoro delle molte esperienze già attive nei territori e sostenere le idee e le azioni che spesso rispondono, sul campo, a lacune normative e politiche.

Guardando al futuro apriamo lo sguardo, andando oltre i confini nazionali, guardando all’Europa, alle responsabilità che ha sulle violazioni dei diritti, sulla chiusura dei confini, sulla militarizzazione delle frontiere, sulle brutalità e le violenze che avvengono, contro il diritto alla protezione. “La risposta dell’UE alle persone che cercano protezione in Europa è la detenzione che diventa prassi, la distruzione delle tutele” ha affermato durante Territori Accoglienti Cecilia Sanfelici del movimento grassroots Europe Must Act, citando a titolo esemplificativo il “centro di accesso chiuso e controllato” costruito dall’UE a Samos, in Grecia. Doppie recinzioni, filo spinato, telecamere, perquisizioni, un ingente numero di polizia: questa è l’accoglienza dell’Europa?

Rispetto al panorama nazionale, manterremo alta l’attenzione sul lavoro da fare in Italia in direzione di una reale garanzia dei diritti, e sollecitando la politica a farsi carico di responsabilità e impegni – in primis con l’elaborazione del Piano di Integrazione, e con la reale applicazione su tutto il territorio nazionale della novella Protezione Speciale, che stenta a decollare e essere rispettata.
In relazione a questi due importanti percorsi, il gruppo di lavoro riunitosi alla fine del meeting ha elaborato una “strategia di advocacy”, identificando alcuni preziosi strumenti di intervento collettivi e civici (strumenti che hanno caratterizzato come metodo i risultati raggiunti fino ad ora dalla rete riunita attorno al Forum): lanceremo un appello finalizzato a sensibilizzare le istituzioni nazionali e locali sui temi dell’accoglienza diffusa da una parte, e dall’altra sulle questioni su cui intervenire per la stesura del ‘Piano integrazione’, a garanzia dei percorsi di inclusione, come ad esempio il diritto all’abitare. Un appello che abbia come obiettivo un immediato confronto con le istituzioni assenti, che pretendiamo recepiscano i temi della piattaforma individuati dalla consultazione nazionale.

Cambiare ordine delle cose si può e si deve: a volerlo siamo in tante e tanti.

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