A Pordenone la scena si ripete. È la stessa di sei anni fa, quando in pieno inverno ai migranti che dormivano all’interno di un parcheggio dopo la chiusura da parte dell’amministrazione locale del parco Quirini, furono strappati dalla polizia locale i teli e le coperte portate lì dalle associazioni solidali. Quella volta alcuni volontari subirono anche un processo, accusati di invasione dei terreni, un giudizio che si è concluso l’anno scorso con le assoluzioni delle tre donne imputate.
Ora a Pordenone la scena si è ripetuta, identica, sabato scorso, quando le coperte, gli zaini, gli effetti personali, in alcuni casi, anche i medicinali, sono stati portati via dai vigili dall’interno dei parchi pubblici dove sessanta migranti in attesa di accoglienza avevano trovato ricovero. E buttati via come rifiuti dai dipendenti della Gea, la società che gestisce il servizio di raccolta. Da parte sua, il sindaco della città, Alessandro Ciriani, si è difeso così: «se una persona tiene alle sue cose non le abbandona». E poi ancora: «ogni giorno riceviamo segnalazioni di persone che si lamentano della sporcizia nei parchi pubblici e di genitori che dicono che giovani uomini guardano gli allenamenti delle ragazze. Le associazioni ci diano una mano, invece di fomentare», ha ribadito il sindaco.
«Noi, invece, facciamo proprio quello che le istituzioni dovrebbero fare», dice Piero Petrecca, uno dei volontari delle due parrocchie che da tempo offrono un pasto caldo e un sostegno sociale a queste persone altrimenti abbandonate per strada a causa della negligenza istituzionale. «Almeno a non voler considerare la Caritas, la Croce Rossa e gli attivisti di Pordenone Solidale, delle vere e proprie istituzioni», conclude.
«Sabato mattina hanno sgomberato tre luoghi in cui queste persone cercano di dormire, tra zanzare, topi, insetti vari e pure bisce, come ho avuto modo di vedere. Cercano di tenere pulito, di ripiegare e nascondere le coperte e di rendersi più invisibili possibili», conferma Luigina Perosa, una delle volontarie che in passato ha subito un processo per avere portato coperte e pasti caldi ai migranti. Ora, però, la misura è colma, e Perosa ha annunciato nei giorni scorsi la presentazione di un esposto. «Per questo sindaco e per questa amministrazione i migranti devono andarsene. Il decoro della città lo richiede. Li denunciamo», ha detto.
Già, a Pordenone la misura è stata superata, tanto che ieri centinaia di cittadini hanno tenuto un presidio davanti alla locale prefettura per protestare contro questi accadimenti. «E contro l’inettitudine del governo e della prefettura» si legge nel volantino di convocazione. Le organizzazioni hanno chiesto, tra le altre cose, tempi rapidi per la presentazione della domanda d’asilo e per il rilascio del permesso temporaneo che possa permettersi di muoversi, lavorare o entrare in accoglienza. Non soltanto. Anche di garantire servizi minimi di ospitalità per chi arriva ed è in condizione di bisogno. E, allo stesso tempo, di ripristinare l’accoglienza diffusa in tutta la regione.
Per questo, oltre che a Pordenone, ieri mattina centinaia di cittadini anche ad Udine si sono dati appuntamento sotto la locale prefettura per protestare contro il fatto che i richiedenti asilo provenienti dalla rotta balcanica si trovino nell’impossibilità di presentare la domanda di protezione, a causa dei ritardi e degli ostacoli frapposti dalla questura. Ma anche contro l’irragionevolezza delle scelte politiche che da anni privilegiano la concentrazione delle persone in grandi aree, come quella della ex caserma Cavarzerani, dove 540 persone vivono regolarmente ospitate ed ammassate, in condizioni di precarietà e disagio, mentre si sconta l’assenza di progetti per l’accoglienza diffusa, che vede Udine e l’intero Friuli Venezia agli ultimi posti per i posti Sai (sistema di accoglienza e integrazione).
A Trieste, invece, i posti messi a disposizione dal sistema di accoglienza nazionale sono finiti da tempo, anche per i minori. Così, la scorsa estate, 500 persone sono arrivate a dormire per strada. E ora molte di queste sono finite a dormire in una struttura chiamata silos, senza acqua né corrente.
È l’effetto del fatto che molte di queste persone, nonostante la richiesta d’asilo presentata e le leggi che stabiliscono la tutela dei richiedenti, non hanno alcun tipo di accoglienza. A denunciare da tempo una gestione scellerata delle persone nel territorio è l’Ics, il Consorzio italiano di solidarietà. Ma che i posti in accoglienza non ci sono più e chi ha diritto rimane a vivere per strada, in tutto in Friuli, è sotto gli occhi di tutti.