Il dolore per Joseph e l’incontro con Joan

andiamo a chiamare per l’intervista Joan, che abita all’interno del palazzo occupato di Via Santa Croce Gerusalemme.

Quell’immagine, fino a ieri, avrebbe potuto rappresentare un gesto di goliardia, di sfottò, di qualcuno o qualcuna tra le migliaia di militanti del movimento romano per il diritto all’abitare, o di quello antirazzista, che spesso coincidono e sono interconnessi. Oggi quella foto, però, rappresenta un dolore straziante che ha appena colpito quella comunità.

Già, perché da poco si è diffusa la notizia del decesso improvviso di Josef Yemane Tewelde, attivista instancabile dei movimenti romani, persona generosa che si batteva per i diritti di tutti e tutte, per la trasformazione del presente, per una società migliore. Jojo dal 2013 era anche considerato il sindaco eterno di una parte di Roma, di quella città che lotta, desidera e che si trasforma.

Ognuno di noi ha condiviso con Josef un pezzo di strada: dalla lunga battaglia per il diritto all’abitare nella città dei palazzinari all’esperimento di informazione libera e indipendente con Radio Sonar, dalle reti antirazziste di Black Lives Matter alle reti contro i Cpr. Da ultimo, Josef aveva offerto il suo prezioso contributo all’interno del collettivo Legal Aid, a Spintime, per la tutela dei migranti e per affermare la libertà di movimento. E, in quest’ottica, aveva prestato il proprio volto e la propria voce alla Campagna Paradossi che ha l’obiettivo, tra gli altri, di rendere ancora esigibile la protezione speciale all’interno del nostro ordinamento, anche dopo il decreto Piantedosi. Così, oggi, non potrà mai essere un giorno come gli altri, è un pomeriggio di ansia, tristezza e dolore, nonostante ciò, non rinunciamo all’incontro con Joan.

Ha pochi minuti di tempo perché deve andare a prendere i figli da scuola, ma si concede per una piacevole chiacchierata. Joan è una mamma single che ha tre bambini, e ci racconta le sue difficoltà di vita a causa della mancanza di un documento valido, del titolo di soggiorno. «Non posso portare i miei bambini dal medico, non hanno diritto a una sanità pubblica», lamenta la donna, nigeriana di origine. Ci mostra le foto e i video di Destiny, Greta e Blessed, due maschi e una bambina. Ci racconta, sorridendo, del loro percorso scolastico alla Federico Di Donato, la scuola multietnica del quartiere Esquilino.

Destiny, il maggiore, gioca a calcio: per un banale certificato di buona salute, che si richiede al medico curante, Joan ha dovuto pagare. Se i suoi figli stanno male, deve portarli al pronto soccorso. Se lei sta male, deve andare al pronto soccorso. E con tre figli e senza aiuti, non è una passeggiata. Ci racconta che a volte ha un’amica che le dà una mano coi suoi bimbi, quando lei deve lavorare. Ma lavorare senza documento non è semplice, e soprattutto è difficile trovare un lavoro che sia costante.

Ci ripete che con questa attesa (aspetta il permesso di soggiorno dal 2020) si rischia di impazzire. Lei riesce a non impazzire, dice, perché per i suoi figli e la loro felicità deve restare con la testa sulle spalle.

Ma, allo stesso tempo, Joan è una di quelle persone solari, capaci di sorridere davanti alle difficoltà. Prima di entrare per prendere i suoi bimbi nel cortile della scuola, ci lascia con un insegnamento importante che ripete loro ogni giorno: “You have to be good to one another”, bisogna essere buoni con gli altri, bisogna voler bene alle persone, perché oggi ci sono e domani non ci sono più. E sorride. E ci ricorda il sorriso di Joseph, anche lui era senza documenti, nonostante vivesse in Italia da quarant’anni, da quando era poco più che un bambino.

“SGUARDI MIGRANTI – storie di protezione speciale” fa parte della campagna #Paradossiallitaliana, un progetto sostenuto dalla Fondazione Migrantes con i fondi dell’Otto per Mille della Chiesa Cattolica e con il contributo dell’ Otto per Mille Valdese.

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