In un pomeriggio di febbraio che sa già di primavera, a Piazza Vittorio, nel cuore del quartiere Esquilino, ci viene incontro Ousmane, un uomo alto e robusto di appena trent’anni che è nato a Dakar, in Senegal. Lui è arrivato in Italia nel 2017, dopo aver vissuto per qualche tempo a Parigi.
«Ad inserirmi in questa città, Roma, mi ha aiutato un amico della mia famiglia di origine che mi ha subito trovato qui un lavoro come badante di una persona anziana italiana. Ho vissuto a casa sua fino a quando poi quest’uomo è morto. Lo aiutavo nelle faccende domestiche, a lavarsi, a curarsi, perché era un uomo molto malato», racconta Ousmane: «poi, quando è morto, sono rimasto senza un lavoro, ma, soprattutto, senza una casa dove dormire». Continua l’uomo: «quello è stato il periodo più difficile della mia permanenza in Italia. Non sapevo dove andare e non avevo un lavoro. Fino a quando ho incontrato gli attivisti e le attiviste del Baobab Experience che mi hanno concesso di dormire in una tenda a piazzale Sabatini, nei pressi della stazione Tiburtina. Sono rimasto lì fino a quando la polizia non ha sgomberato il presidio».
L’incontro con “Baobab”, per Ousmane, è stato decisivo per migliorare la propria condizione di vita in un momento di estrema difficoltà. «Grazie al loro interessamento ho trovato un nuovo lavoro in un ristorante di piazza Bologna, lì sono stato assunto a tempo indeterminato. Facevo l’aiuto cuoco e percepivo uno stipendio di 1000 euro. Era un lavoro che mi piaceva molto e mi sentivo bravo a farlo», dice ancora Ousmane, mentre tra una battuta e l’altra, e qualche chiacchiera sui suoi gusti musicali e sulla passione che nutre per il cantante Youssou N’Dour, ci racconta la sua storia di vita. Un’esistenza che ha vissuto tanti momenti travagliati, ma che non gli ha mai fatto perdere il sorriso contagioso che mostra quando lo incontriamo. Come quando, durante la pandemia, nella primavera del 2020 il ristorante dove era impiegato ha chiuso e, per fortuna, Ousmane, però, che era stato assunto regolarmente, ha potuto percepire per un periodo l’indennità di disoccupazione. Dato che ovviamente era stato licenziato.
Oggi l’uomo non può lavorare perché ha subito un terribile incidente. «Mentre attraversavo sulle strisce pedonali sono stato investito da un’ automobile che è passata con il semaforo rosso ed ora sono in attesa del risarcimento. Mi sono fratturato sia la tibia che il perone e per questo non posso lavorare», racconta ancora Ousmane, che ancora si aiuta con una stampella, nonostante sia in guarigione. Ha un documento di soggiorno per casi speciali che gli scade nel marzo 2024 e, proprio per poter curarlo, le operatrici socio-legali dello sportello che lo seguono, hanno appena chiesto alla questura di Roma il rilascio del cedolino che ne attesta la domanda di rinnovo. È la precarietà del diritto al soggiorno, la stessa che le operatrici riscontrano in tutti i cittadini stranieri che incontrano. Sono sempre gli stessi, del resto, gli ostacoli che incontrano le persone migranti che in Italia condividono affetti, lavoro, sogni, desideri, ma a cui lo Stato non riesce o non vuole dare continuità alle loro aspirazioni. E con il ruolo di supplenza che, invece, spesso, è svolto dalle organizzazioni della società civile.
Il diritto alla casa, per esempio, è reso effettivo, nel caso di Ousmane, grazie all’organizzazione che lo ospita a Roma, in via degli Apuli, nel cuore del quartiere San Lorenzo. Qui l’uomo vive insieme agli operatori, gli ospiti e i volontari del centro sociale gestito dall’Esercito della salvezza, organizzazione religiosa nata nelle periferie londinesi nel 1865 allo scopo di unire la missione evangelica a quella di supporto concreto alle comunità marginalizzate. L’Esercito è oggi presente con 125 realtà in diversi parti del mondo. In Italia, l’Esercito della salvezza offre il suo impegno in diverse attività sociali: il sostegno ai senza fissa dimora, la realizzazione di corsi di italiano per stranieri, la distribuzione di cibo ed abiti a famiglie bisognose, la partecipazione a campagne di solidarietà, e altre attività che sono dislocate in 36 centri, dal Nord al Sud Italia. «Questo non è un centro di accoglienza per persone senza fissa dimora, né un posto dove si fa la carità, ma c’è la definizione di una strategia d’azione che è tesa a discostarsi dal puro soddisfacimento dei bisogni primari, mangiare, bere, dormire, che tende invece a costruire una vera e propria rete del sociale tra le persone che in un determinato momento della loro vita si trovano in difficoltà», mi ha spiegato qualche tempo fa Simona Magazzù, la psicologa che ancora oggi coordina il centro dove vive Ousmane che, nonostante le difficoltà che la vita gli ha riservato, continua a sorridere.
“SGUARDI MIGRANTI – storie di protezione speciale” fa parte della campagna #Paradossiallitaliana, un progetto sostenuto dalla Fondazione Migrantes con i fondi dell’Otto per Mille della Chiesa Cattolica e con il contributo dell’ Otto per Mille Valdese.