Nella città calabrese, come in tante altre città italiane, si assiste a comportamenti discriminatori del personale dell’ufficio immigrazione. Ma c’è una società civile che resiste. Reportage.
«Una linea fatta di infiniti punti, infiniti nodi, infiniti attraversamenti. Ogni punto una storia, ogni nodo un progetto di esistenze. Ogni attraversamento una crepa che si apre. Non è un luogo preciso, piuttosto la moltiplicazione di una serie di luoghi in perenne mutamento, che coincidono con la possibilità di finire da una parte o rimanere nell’altra», così veniva definita “La Frontiera” dallo scrittore Alessandro Leogrande.
Oggi “La Frontiera” dei diritti umani non si trova solo lungo il Mar Mediterraneo centrale o lungo la rotta balcanica al confine tra la Croazia e la Serbia, ma anche nelle file quotidiane davanti alle questure di molte città italiane. A Cosenza, per esempio, lo dice chiaramente una lettera inviata nelle ultime settimane del 2023 e indirizzata alla questura e alla prefettura della città calabrese. La missiva porta la firma di diverse associazioni, tra cui quella dell’Associazione studi giudici sull’immigrazione.
Uno dei legali che l’hanno presentata, Francesco Maria Sicilia, ci ha spiegato che «le persone arrivano davanti agli uffici e chi si trova in difficoltà non viene considerato, vedi donne incinte e bambini», e ha riferito di «atteggiamenti apertamente razzisti da parte di alcuni operatori appartenenti alle forze dell’ordine». Non solo. L’avvocato Sicilia ha raccontato che lo stesso personale fornisce informazioni fuorvianti e contrarie alle leggi in materia di immigrazione. «Con la lettera abbiamo cercato di ottenere un incontro in cui lamentare le prassi discriminatorie attuate dall’ufficio immigrazione», continua il legale: «ma non solo non abbiamo ottenuto alcun incontro, ma questi comportamenti sono continuati, come se fossero perfettamente normali. Tendenzialmente, registriamo una notevole difficoltà dei cittadini stranieri nell’accesso a qualsiasi tipo di servizio pubblico», conclude. Così molti tra loro restano senza cure mediche, privati dei diritti più elementari, anche quello all’accoglienza.
È la frontiera di Cosenza, e ce ne parla anche l’operatore Pietro Panico che incontriamo nella sede del Moci, il Movimento per la cooperazione internazionale, dove ogni giorno decine di cittadini e cittadine migranti cercano e trovano conforto e supporto dalle disfunzioni burocratiche e istituzionali che subiscono. «Si, Cosenza può essere considerata una frontiera di terra, sia per la grandezza del suo territorio, dato che è la sesta provincia d’Italia per popolazione. Quindi si immagini l’enorme afflusso di persone migranti che si rivolgono agli uffici pubblici del suo territorio». Dice Panico: «Le normative nazionali degli ultimi dieci anni hanno prodotto effetti nefasti sul territorio, complicando le procedure sia per i cittadini stranieri che per noi operatori e, in qualche modo, hanno aggravato anche il lavoro degli stessi operatori di polizia, in qualche modo pure loro stretti in questa frontiera».
Sono i paradossi di cui ci parla un’altra legale, Giulia Manfredi, riferendo dei centri di accoglienza del luogo in cui vengono ospitati anche minorenni, e delle violazioni costanti dei loro diritti a cui vengono sottoposti proprio i minori. «Lo stesso tribunale per i minorenni dovrebbe attuare tutta una serie di tutele in loro favore, che, purtroppo, attiva con notevole ritardo», spiega l’avvocata Manfredi: «sul territorio, però, ci sono state diverse persone, e anche famiglie intere, che hanno aiutato minori che si trovavano in situazioni di disagio, ed è questo molto importante, cioè che si faccia rete tra operatori del settore e società civile al fine di assicurar ai minori la massima tutela possibile».
Nonostante i gravi vuoti istituzionali, infatti, a Cosenza, c’è una società civile che resiste. Ed è l’impressione che ne ricaviamo visitando la sede della Fondazione Migrantes che si trova nella città vecchia di Cosenza.
Pino Fabiano, il direttore dell’ufficio Migrantes della diocesi di Cosenza-Bisignano che ci accoglie, ci racconta dei numerosi punti migranti attivati sul territorio che vede impegnati volontari e operatori nel supporto alle persone, e della nascita di una rete per l’ospitalità diffusa. «Abbiamo risposto all’appello di papa Francesco per l’accoglienza attraverso le famiglie e le parrocchie, ma anche progettato dei percorsi che hanno portato all’autonomia lavorativa e sociale di molti neo-maggiorenni», dice Fabiano, una colonna del volontariato e della società civile, in questa città del Sud Italia che accoglie e resiste alle disfunzioni istituzionali.
Il lavoro è stato realizzato nell’ambito della campagna #Paradossiall’italiana, sostenuto dall’Otto per Mille della chiesa valdese e dalla Fondazione Migrantes della chiesa cattolica.