Zone Rosse. Zone di esclusione sociale.

Riflessione del team di “Legal Aid – Diritti in Movimento”, Roma

Le ordinanze prefettizie che istituiscono le famigerate Zone Rosse, che a Roma sono ancora oggetto di dibattito politico, rappresentano quella ormai storica strategia ideata per consolidare le azioni di prevenzione e di contrasto della criminalità, non tanto per assicurare la massima sicurezza sociale, come vedremo dopo, ma per elevare la percezione della sicurezza con un atto performativo, uno spettacolo che va in scena nello spazio urbano, dove le più grandi conseguenze dell’emarginazione sono visibili. Si tratta dello stesso spettacolo che va in scena nelle frontiere europee dove parte dell’umanità viene detenuta e controllata, se non criminalizzata, alimentando una percezione di invasione. Lo strumento utilizzato da questi provvedimenti riguarda il divieto di attraversamento e stazionamento per persone già denunciate per alcuni reati indicati nell’ordinanza. Dal 2018 queste ordinanze si sono ripetute in alcune città sollevando diverse critiche da autorevoli associazioni di giuristi oltre che censure dei giudici amministrativi (TAR Toscana). 

Da un punto di vista giuridico, un genere di divieto ad  attraversare zone specifiche rivolto a intere categorie di persone, attraverso azioni che vengono demandate alle forze di polizia, viola la Costituzione che con gli artt. 13 e 16 garantisce senza distinzioni sia la libertà di movimento che la libertà personale. Inoltre, sul piano del diritto amministrativo sembra gravare di irragionevolezza quando si determina l’automatismo tra le passate denunce e i presunti comportamenti incompatibili con la “vocazione delle aree definite come zone rosse” dalle ordinanze. Si presume infatti che le persone da allontanare dalle aree, come per esempio la stazione di Roma Termini, possano “impedire ad altri cittadini di fruire ed accedere a quei luoghi”. Si tratta di una stigmatizzazione tramite ostracismo di persone presuntivamente pericolose.

I presupposti delle ordinanze tendono a scavalcare, mediante l’impiego dell’art. 2 del Testo Unico di Pubblica Sicurezza (un testo del 1931 che in linea con il contesto dell’epoca offriva uno strumento di potere prefettizio “a tutela dell’ordine pubblico”), i poteri sindacali ordinari demandati agli enti locali proprio per gli stessi scopi attraverso i regolamenti della polizia urbana, ai sensi del TUEL. Già la Corte Costituzionale con sentenza n. 26/1961, ha dichiarato illegittimo questo disposto normativo del TULPS proprio in relazione al potere prefettizio che in tale previsione lede i principi dell’ordinamento giuridico, ovvero il sistema di controllo politico e civico degli organi di rappresentanza popolare come i consigli comunali e le giunte.

Ma seppur fosse giustificabile tale deroga in virtù di una specifica emergenza sociale o di ordine pubblico, l’azione di tali provvedimenti prefettizi non è ad oggi confortata dai dati: negli ultimi 10 anni in Italia i reati sono calati quasi del 20%. Per quanto riguarda le stazioni ferroviarie, nel 2024 nelle aree delle grandi stazioni sono state controllate poco più di 4 milioni di persone con un risultato alquanto modesto che vede poco più di 1.000 arresti, circa 11.000 indagati e il sequestro di 50 kg di droga e di 250 armi (fonte Ministero Interno). Insomma, una incidenza che non desta una straordinaria preoccupazione e che sarebbe del tutto gestibile con le iniziative già esistenti nelle policy di prevenzione delle Grandi Stazioni come il programma Stazioni Sicure, il Rail Safe Day, le Action Week, e le operazioni “Oro Rosso”. Tuttavia diversi fattori contribuiscono alla costruzione dell’ansia sociale da sicurezza; il discorso mediatico è supportato da dichiarazioni politiche che sottolineano la necessità di interventi per ristabilire l’ordine e la sicurezza, come l’uso del Daspo urbano e l’aumento della videosorveglianza. La sicurezza urbana viene costruita come problema attraverso una narrazione mediatica che enfatizza la percezione di insicurezza e degrado, associando specifici fenomeni e soggetti marginali a minacce per l’ordine pubblico. In sintesi anche se l’emergenza non c’è magicamente appare. 

Le zone rosse non richiamano certo criteri di efficienza ed efficacia. Resta fuor di dubbio che si tratta di azioni che non proteggono la sicurezza dei residenti né dei turisti ma aumentano la percezione dell’insicurezza e specialmente per chi abita al di fuori del perimetro di queste aree “interdette”. Ricerche sociali hanno da sempre evidenziato e dimostrato che la sicurezza urbana si garantisce con una rosa di strumenti tra i quali certamente non figura l’allontanamento di persone “indesiderate” dalle aree vetrina verso altre più remote o periferiche. Come correttamente osserva l’Associazione dei Magistrati “Area Democratica per la Giustizia”, “spostare i fattori di rischio nascondendoli altrove, rischia di creare zone nere”, fuori dalle zone rosse.

In uno stato democratico per le autorità responsabili dell’ordine pubblico, “la sfida dovrebbe essere quella di garantire il massimo della sicurezza e dei diritti per tutti e tutte senza limitare le libertà personali e costituzionali”.

A Roma si sta discutendo della zona rossa o di azione di controlli rafforzati tra la Stazione Termini e l’Esquilino, in un botta e risposta tra l’Amministrazione Locale e il Ministero dell’Interno. A fronte dell’ennesima azione securitaria messa in campo nella zona, diverse reti come il Polo Civico, del quale facciamo parte come associazione Legal Aid, attiva nella rete di Spintime,  periodicamente portano avanti attività per l’accoglienza, l’orientamento e l’inclusione sociale delle persone senza dimora, che sostano oppure gravitano in quell’area vista la presenza di una pluralità di servizi di tutela. Ciò che incontriamo nelle nostre missioni in strada è un’umanità persa e già concretamente e tristemente esclusa dalle maglie urbane dei diritti sociali. Richiedenti asilo senza accoglienza, persone senza casa per via di un mercato delle locazioni razzista e classista, persone migranti in transito e talvolta minori migranti non accompagnati. Una campagna securitaria permanente, che magnifica queste situazioni di marginalità senza risolverle ma rendendole problemi da “spostare”, trasmette un concetto di “sicurezza” sempre più lontano dall’idea di sicurezza sociale che potrebbe essere promossa da politiche di solidarietà e di inclusione e dalla garanzia dei diritti sociali, civili e politici, senza alcuna distinzione.

Il DDL 1660, noto come Disegno di Legge Sicurezza, è la cornice nella quale questi scenari troveranno una sistematizzazione attraverso un sistema giuridico differenziato basato sulla nazionalità o sullo status sociale, alimentando un’ossessione per la sicurezza e giustificando politiche repressive. Sono strategie politiche frutto di scelte ben ponderate che accresceranno la solitudine e divideranno la comunità degli abitanti anziché renderla coesa. Dunque, c’è da chiedersi, quale sicurezza urbana? Quella della città sotto assedio? Bisogna riappropriarsi dello spazio urbano come spazio pubblico, area di coesione sociale e di consolidamento dei rapporti sociali e di solidarietà. Il giubileo che ha questo profondo significato, non deve essere strumentalizzato per giustificare questa guerra alla povertà.

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