“Non c’è nessuna alternativa a una transizione politica rappresentativa che soddisfi le aspirazioni di tutti gli uomini e le donne siriani”.
Questo principio simbolo delle rivendicazioni della società civile siriana viene spesso richiamato per contrastare quella classica governance siriana influenzata da potenze regionali e internazionali, le cui conseguenze plastiche sono state sempre evidenti: poche iniziative per porre fine al conflitto da parte della diplomazia internazionale mentre si moltiplicavano gli sforzi di normalizzazione i rapporti con il regime di Assad. Gli attori internazionali hanno soffocato la voce siriana sistematicamente esclusa dalle discussioni, qualora ci fossero state, sul futuro della Siria a livello regionale e internazionale.
Nonostante tutto questo ricordiamo che sono state centinaia le organizzazioni della società civile, in tutti i settori, che hanno compiuto sforzi immani per contribuire a costruire un percorso di cambiamento basato sui valori delle forze politiche e sociali di opposizione ma che oggi di nuovo rischiano di restare nell’ombra dentro un contesto concertativo verticale e violento. Questo rischio c’è ed è concreto.
“la Siria è stato un campo di guerra tra tutti e di tutti contro il mondo. Sono molto felice della caduta del regime, ma poi come sempre ci capita, ricominceremo a preoccuparci”.
La preoccupazione di S., una lavoratrice di 35 anni, è condivisa da molti, sia nel paese che nella diaspora. Nasce non solo dalla storia di HTS, ma anche da un passato ingombrante nel quale le influenze regionali in Medio Oriente facevano della Siria uno scacchiere internazionale senza alcuna cura per gli interessi di un Paese che stava appena ricostruendo la sua indipendenza dal mandato francese negli anni 50. Una brutale spartizione di interessi già all’epoca ha caratterizzato il processo del mutamento repubblicano post coloniale. Dopo l’indipendenza dal mandato francese (1946), nonostante la nuova Siria avesse aspirazioni repubblicane di stampo socialista non potenziò le tutele post golpiste in grado mantenere “i militari” fuori dalle istituzioni e al servizio delle potenze internazionali. E tutto ciò si rivelerà molto presto come l’anticamera dell’avvento del regime di Assad. Dunque questa pesante eredità storica, non opinabile, caratterizza il paese come scacchiere sul quale giocare le pedine degli interessi di parte: nella partita, oltre al regime di Damasco e gli attori interni, ci sono stati sempre i grandi portatori di interesse. Dalla Russia agli Stati Uniti, passando per Turchia, Arabia Saudita, Iran e Israele. Di fronte a queste ingombranti presenze i grandi assenti sono l’Europa e in generale la comunità internazionale nella cornice dell’Onu.
Questo retaggio, che ha sempre condizionato il “sistema Siria”, si somma al fatto che il regime ha sempre silenziato, con la forza e con brutale violenza, il ruolo strategico della società civile nella politica estera, per lo sviluppo economico e sociale, e dal punto di vista della governance. Nei rapporti internazionali la Siria è sempre stata associata ad Assad e poche e rare letterature hanno restituito la complessità della società siriana. Lo stesso vale per le recenti analisi sugli stravolgimenti che hanno caratterizzato la recente caduta del regime, che si può in realtà tranquillamente definire un colpo di stato, perché ad un potere si è contrapposto un altro potere attraverso una fulminea azione militare.
Con Yalla Study abbiamo avuto modi di conoscere da vicino le contraddizioni del paese e le aspirazioni delle donne e degli uomini che vivono in Siria e fuori dal paese, ed è a loro che vogliamo dare il nostro piccolo contributo in questo momento così importante. Nelle prossime settimane partiremo per la Siria e incontreremo diverse realtà a Damasco, a Suwayida. Lo faremo per cercare di dare risposte alle domande che in questo periodo ci stiamo ponendo: come guardare dunque la storia di questo popolo con lenti diverse? Come raccontare il processo di liberazione con gli occhi dei civili che sono il cuore pulsante della vecchia e della nuova Siria? Come sostenere questo processo dal basso?
Diverse voci che abbiamo sentito ribadiscono che alla luce dei rapidi sviluppi sul campo, le prossime fasi dovranno essere caratterizzate da un processo di transizione politica democratica, sotto la supervisione delle Nazioni Unite, e in linea con la Risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
“seguiremo da vicino come si comporteranno con il popolo siriano”
In questa prospettiva, Nowar Azzam, una giovane giornalista siriana di Suwayida chiarisce che “Suwayida tra gli altri, chiede una transizione pacifica del potere fin dall’inizio delle manifestazioni popolari, cominciate più di un anno e mezzo fa”. E aggiunge, “la nostra comunità intende essere parte della Siria che rifiuta progetti di divisione e separatismo”. Azzam inoltre ci ricorda, parlando a nome della comunità locale, che “siamo in attesa di vedere cosa l’Hts offrirà alla Siria e quale forma assumerà la governance”.
Diverse persone con le quali abbiamo avuto modo di poter parlare sperano in questo processo di particolare importanza per la Siria, auspicando che vengano valorizzati tutti gli sforzi che dal basso si sono compiuti in questi anni, con particolare riferimento alle realtà di autogoverno nel Sud con i Drusi e il movimento di “al Karama”, ma anche nel Nord-Est dove governa l’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est.
“Questo processo dovrebbe basarsi su un organo di governo transitorio rappresentativo che includa tutte le parti – compresi gli attori civili siriani – verso una governance credibile, inclusiva e priva di discriminazioni”
M. una donna di 30 anni, residente a Damasco ribadisce l’importanza di garantire inclusione e partecipazione. Tutti coloro che stanno intervenendo in pubblico per commentare quello che sta accadendo, sono pronti a dare ognuno il proprio contributo affinché si apra un percorso che includa tutti i siriani, compresi quelli della diaspora. Non si vuole ripetere lo stesso errore del passato che ha compromesso i sogni dei siriani e delle siriane. Rendere più complesso un assetto politico invece che ridurlo a rapporti bilaterali, ci restituisce la Siria in un’altra prospettiva. Le voci dei civili, ci rendono più chiaro il quadro delicato di equilibri e di interessi che di fatto, anche prima della caduta di Assad, avevano mutato il tessuto sociale siriano: già da tempo era emersa una cittadinanza che non si riconosceva con i Russi né con i Turchi, con Hezbollah e neppure con gli Stati Uniti, e che non si riconosceva da tempo nel regime di Damasco e in quella rappresentazione della Siria come ring tra “terroristi” e “regime” arbitrato dalle superpotenze. Il ruolo della comunità internazionale deve riaffermarsi nella cornice della risoluzione dell’ONU 2254 che rimane un punto di riferimento per prendere le distanze da tutto ciò che della Siria si è detto e si è fatto e per cercare una soluzione politica e democratica all’Inferno.
Con questa prospettiva dunque intendiamo offrire il nostro piccolo supporto e la nostra missione intende restituire all’Italia e all’Europa questa lettura con un ciclo di conferenze, affinché la diplomazia e la cooperazione supportino l’azione dei cittadini e delle cittadine in Siria.