Nel corso della visita al centro di Gjader con il gruppo di contatto parlamentare, la missione del Tavolo asilo e immigrazione ha parlato con due persone, una di origine egiziana e una proveniente dal Bangladesh. Entrambe hanno raccontato le loro storie personali, segnate dalla necessità di lasciare il proprio paese d’origine, dal profondo timore in caso di rimpatrio e dalle condizioni di vita drammatiche vissute in Libia, ben note per la loro gravità.
La persona egiziana ha riferito che, una volta appreso che sarebbero state condotte in Albania e non in Italia, lui e i suoi connazionali hanno rifiutato di assumere cibo in segno di protesta; altre persone hanno pianto disperate. Il rifiuto del cibo evidenzia la totale mancanza di consenso rispetto alla destinazione forzata in Albania. Un gesto molto forte, che rende evidente l’angoscia vissuta dalle persone trasferite.
Attualmente nel centro restano 43 persone. Una persona è stata riconosciuta solo oggi, proprio durante la sua audizione, come vulnerabile ed è ora sotto osservazione medica. Le autorità hanno riferito che domani sarà trasferita in Italia. È gravissimo che una vulnerabilità di questo tipo non sia stata individuata durante la giornata di lavoro screening di ieri e ancor prima sulla nave prima del trasporto in Albania. È del tutto irragionevole pensare che una dimensione così delicata e decisiva come la vulnerabilità possa essere valutata in maniera così rapida.
Il trattenimento è stato prolungato oltre ogni misura: deve ritenersi iniziato di fatto già a bordo della nave che, alla luce delle testimonianze raccolte, è rimasta tre giorni in mare per “completare” le operazioni di selezione delle persone migranti e avviare il trasferimento in Albania. La somma complessiva dei giorni supera ampiamente ogni limite di legge: un fatto di estrema gravità.
Altrettanto grave è che i richiedenti asilo non abbiano avuto concretamente né il tempo né la possibilità di nominare un/una avvocato/a per assisterli già nella fase dell’audizione davanti alla Commissione territoriale, né siano stati adeguatamente informati, in maniera indipendente, sul significato delle procedure di riconoscimento della protezione internazionale.
Queste violazioni evidenti e gravissime del diritto di difesa rendono di fatto impossibile l’esercizio effettivo dei diritti dei richiedenti asilo, che devono poter accedere all’assistenza legale già nella fase amministrativa. Ancora oggi, molte delle persone trattenute non sono entrate in contatto con i propri difensori e hanno affrontato le audizioni davanti alla Commissione territoriale senza poter esercitare il diritto alla presenza di un legale. Questo è particolarmente grave, considerando che in caso di diniego gli avvocati avranno solo sette giorni per presentare ricorso, compromettendo irrimediabilmente il diritto di difesa.
L’immediatezza con cui sono avvenute le audizioni ha impedito ai richiedenti di ricevere un’adeguata informazione e orientamento sulla procedura e di contattare avvocati o consulenti legali di fiducia. Alla luce di queste gravi criticità procedurali, che violano diritti fondamentali, riteniamo che il centro in Albania sia incompatibile con il diritto d’asilo, il diritto alla salute e il diritto alla difesa. Per questi motivi, confermiamo che si tratta di un’operazione illegittima e fallimentare, che deve essere immediatamente cessata.
(Foto ANSA)