Riflessioni critiche sulla dichiarazione congiunta dei Paesi MED-5

Di Giovanna Cavallo

“Il Mediterraneo non è un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre.”

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Questo mare ha generato un’identità condivisa, in cui la pluralità intrecciava una trama complessa di rapporti. Tuttavia, oggi il Mediterraneo è ridotto a confine blindato, teatro di respingimenti, tragedie umanitarie e militarizzazione delle rotte migratorie. Dal 2014 a oggi, oltre 30.000 persone hanno perso la vita cercando di attraversarlo. In questo scenario, la dichiarazione congiunta MED5 firmata dai ministri dell’Interno di Italia, Grecia, Spagna, Malta e Cipro nella conferenza di Napoli avvenuta l’11 e 12 aprile scorsi, legittima e rafforza una visione del Mediterraneo come barriera, negando la sua storica vocazione di ponte tra mondi.

Chi sono i MED-5?

Il gruppo MED-5 è composto da cinque Paesi dell’Europa meridionale: Italia, Spagna, Grecia, Malta e Cipro. Nati come “fronte comune” nel contesto delle crisi migratorie degli anni 2010, questi Paesi condividono una collocazione geografica strategica lungo le principali rotte di accesso al continente europeo attraverso il Mediterraneo. Il gruppo MED-5 si è consolidato per negoziare con maggiore forza all’interno dell’Unione Europea su temi come asilo, frontiere esterne e gestione dei flussi. La loro rivendicazione è chiara: essendo in “prima linea”, dovrebbero ricevere maggior sostegno finanziario e logistico, minori obblighi di accoglienza e più strumenti per contenere la migrazione irregolare. Negli ultimi anni il gruppo MED-5 si è evoluto in una alleanza politica compatta a favore di un approccio restrittivo e securitario, spesso in contrasto con i principi di solidarietà e condivisione di responsabilità fondativi dell’UE. La dichiarazione firmata a Napoli lo scorso 12 aprile ne rappresenta l’apice.

Le vie Legali, il grande assente della dichiarazione

Uno degli aspetti più gravi del testo è la completa assenza di un piano europeo condiviso per l’apertura di vie legali e sicure d’ingresso. Mentre si parla genericamente di “percorsi legali” da promuovere nei Paesi di origine e transito (punto 13), non si menziona mai la necessità di creare corridoi umanitari, programmi di reinsediamento, canali per visti umanitari o per motivi di lavoro. Questa lacuna mina alle fondamenta l’intera architettura dei diritti umani europei: senza alternative legali, le persone in fuga da guerre, persecuzioni, catastrofi ambientali o povertà estrema sono costrette ad affidarsi a reti informali o criminali. La criminalizzazione della persona migrante e del soccorso umanitario non è solo una scelta eticamente inaccettabile, ma anche politicamente miope, perché alimenta le stesse reti che si dichiarano di voler combattere.

Il cuore operativo della dichiarazione è l’inasprimento dei controlli alle frontiere e il rafforzamento della dimensione repressiva della politica migratoria.

I Paesi MED-5 chiedono esplicitamente di potenziare il ruolo di Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera, attribuendole persino poteri esecutivi nei Paesi terzi (punto 12). Questo rischia di generare violazioni sistemiche dei diritti umani, soprattutto se tali operazioni si svolgono in Stati non democratici, dove le condizioni di detenzione e trattamento dei migranti sono già oggi al centro di gravi denunce. Inoltre, la dichiarazione propone di rimuovere l’effetto sospensivo automatico dei ricorsi contro i rimpatri (punto 21), mettendo in pericolo il principio fondamentale di non-refoulement sancito dalla Convenzione di Ginevra: nessuno può essere rimandato in un paese dove rischia trattamenti inumani o persecuzioni. Una simile misura indebolisce le tutele legali e apre a deportazioni sommarie, senza controllo giurisdizionale effettivo.

Tutti uomini, tutti Ministri dell’Interno: la macchina del sovranismo

Il profilo dei firmatari della dichiarazione è altamente simbolico: tutti uomini, tutti ministri dell’interno, tutti esponenti di governi che – con intensità diverse – ostentano potere e sposano una visione sovranista e securitaria. Dall’Italia guidata da Fratelli d’Italia, alla Grecia di Nuova Democrazia, fino a una Spagna che, pur governata da un centrosinistra, mostra segni di irrigidimento sulla rotta migratoria. Questo assetto evidenzia un tratto preoccupante: la marginalizzazione della voce delle donne e dei ministeri della solidarietà, dell’integrazione e della cooperazione, come se la migrazione fosse solo una questione di ordine pubblico. È invece un fenomeno complesso, che tocca aspetti sociali, economici, geopolitici, culturali. Ma la narrazione che prevale è quella del controllo, della minaccia e del respingimento, una retorica che divide anziché unire.

La Dichiarazione MED-5 trasforma l’Europa in un patto più che una Unione e si pone in aperta contraddizione con i valori fondamentali dell’Unione Europea. La solidarietà, in questo testo, è evocata solo come sostegno finanziario per i Paesi “in prima linea”, ma non si traduce mai in responsabilità condivisa, tutela dei richiedenti asilo o accoglienza diffusa. Viene completamente ignorata la Carta dei diritti fondamentali dell’UE, così come il ruolo delle ONG, dei cittadini solidali, dei municipi che operano da anni in prima linea per supplire alle carenze istituzionali. Si assiste a un vero e proprio svuotamento del progetto europeo: non più uno spazio di diritti e libertà, ma una fortezza chiusa in sé stessa, dove ciascun Paese gioca la partita del consenso interno sulla pelle dei migranti.

Un’altra rotta possibile deve portarci nel Mediterraneo della dignità

Il quadro tracciato dalla dichiarazione MED-5 è in continuità con le logiche che fondano il Patto Europeo delle Migrazioni e l’Asilo che  si inseriscono in un più ampio contesto politico dominante in molti Paesi membri, sempre più segnato da governi che adottano politiche sovraniste e nazionaliste. Questi orientamenti politici promuovono la chiusura, il controllo dei confini e la criminalizzazione delle migrazioni, soggiogando l’intera comunità europea. Noi rifiutiamo questa visione escludente e proponiamo un’alternativa fondata su solidarietà, giustizia e cooperazione internazionale.

Chiediamo di superare le barriere fisiche e ideologiche costruite in nome della sicurezza nazionale, promuovendo invece la libertà di movimento e il riconoscimento dei diritti fondamentali per tutte e tutti. Mentre i governi sovranisti usano i confini come strumenti di potere e propaganda e le leggi come arma di “guerra”, noi rivendichiamo un’Europa accogliente, che includa invece di escludere, che protegga invece di respingere. Le nostre proposte – dall’apertura di canali legali alla tutela del sistema d’asilo, alla fine della militarizzazione delle frontiere – sono atti concreti di resistenza a un’Europa chiusa. Crediamo che solo attraverso la cooperazione tra comunità, il rispetto dei diritti e la solidarietà internazionale dal basso, si possa costruire un futuro europeo davvero umano, giusto e inclusivo.

Si tratta di scegliere che tipo di Mediterraneo vogliamo: un mare chiuso e minaccioso, o un mare che torna a unire, come ha fatto per secoli. Perché prima di essere frontiera, è stato casa comune.

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