Il Covid19 ci costringe a cambiare abitudini. Siamo invitati a restare a casa, a evitare i contatti interpersonali, a rispettare norme igieniche e comportamentali per il bene di tutti. Ma cosa succede quando si vive in un centro? Quando le misure sollecitate mal si coniugano con spazi personali già ridotti? E qual’è il concetto di ‘casa’, per le tante persone che vivono in CAS e SPRAR, e che i decreti sanitari emessi dal governo non hanno nemmeno preso in considerazione? La situazione che stiamo vivendo ci impone responsabilità collettive. Non essere indifferenti rispetto a chi è stato di fatto escluso dalle necessarie misure previste – e dunque, ancora una volta, dalla società – fa parte di questa responsabilità. Vogliamo dare voce e spazio ai territori e a come stanno vivendo, nell’ambito dell’accoglienza, la situazione in cui ci troviamo.
A tal proposito, affrontiamo l’argomento con l’intervista pubblicata su il Manifesto di oggi, 14 marzo, a Gianfranco Schiavone, membro del Forum per cambiare l’ordine delle cose, vice presidente di ASGI e presidente del Concorso Italiano di Solidarietà di Trieste.
“Il governo si è di fatto scordato di migliaia di persone”. Così Schiavone commenta la situazione dei tanti – richiedenti asilo ma anche operatori – “che non sanno come comportarsi di fronte alla colpevole assenza di indicazioni”. Una situazione che sta lasciando moltissimi territori in una condizione di caos, come specifica Schiavone, evidenziando l’assenza di indicazioni operative: una grave mancanza che si riversa sulla vita delle persone e sull’intera società.
Si pensi ad esempio alle domande di protezione e accoglienza, profondamente legate perché senza la prima non si può accedere alla seconda, con il serio rischio di rimanere senza un tetto. “Sarebbe stata necessaria una circolare ministeriale con indicazioni concrete su come rispettare i principi fondamentali delle normative in materia di asilo, dandone attuazione almeno minima, e naturalmente compatibile con la situazione che stiamo vivendo. Ma non è mai arrivata”, denuncia Schiavone.
A Trieste stanno ovviando a questa mancanza con una prassi che potrebbe essere utile ad altre realtà. “Il nostro ufficio è aperto – ovviamente con tutte le misure necessarie – per seguire le domande di protezione, che rispetto ad altre pratiche non possono essere sospese. ovviamente con tutte le misure necessarie. Stiamo procedendo in accordo con la questura che, fermando per ora le verbalizzazioni, registra la persona e le rilascia un attestazione che indica che è richiedente protezione. Con questa accede immediatamente al sistema di accoglienza”. Un accordo reso possibile anche dal fatto che “non ci troviamo in un territorio dove l’accoglienza è frammentata. Nei territori dove ci sono molti enti sono ancora più necessarie precise istruzioni operative a tutti gli uffici periferici, sia alle questure, responsabili delle richieste di protezione, sia alle prefetture, referenti di quelle per l’accoglienza”.
Il contesto attuale mette in luce anche la pericolosa perdita generalizzata di autonomia delle organizzazioni che gestiscono i servizi di accoglienza e protezione, che, sottolinea Schiavone, “si percepiscono come enti erogatori, piuttosto che di tutela con una propria identità, pur svolgendo anche un servizio per conto della pubblica amministrazione”.
Inoltre, la situazione attuale sta mettendo in luce anche come l’accoglienza diffusa in appartamenti, oltre a produrre inserimento sociale, in situazioni di emergenza risulti più efficace, al contrario delle grandi strutture collettive a cui si è dato spazio, come conseguenza dei tagli e della tendenza politica in particolare del penultimo governo: che però non ha trovato alcuna discontinuità con quello attuale nel creare sistemi di natura concentrazionaria.
C’è infine un’altra grande questione, e riguarda tutte le persone da poco fuoriuscite dall’accoglienza per effetto dell’eliminazione della protezione umanitaria, e rimaste dunque prive di accoglienza. Anche in questo caso, persone non considerate dal decreto presidenziale legato all’emergenza Covid19.
Condizioni a cui diversi territori provano a reagire, come dimostra Trieste con l’esperienza dell’ufficio ICS raccontata da Schiavone. Non è la sola: nella zona del Mugello, in Toscana, è stata avviata una riflessione a proposito delle richieste di accoglienza rimaste inevase dopo l’entrata in vigore del decreto Salvini (legge 132/2018), che non hanno mai nemmeno avuto una risposta, nemmeno negativa, come specificano da Associazione Progetto Accoglienza. “Ci siamo interrogati sulla condizione attuale di queste persone: le abbiamo contattate e sono molte quelle che, dopo essere state escluse dal SIPROIMI, sono ancora prive di una autonomia alloggiativa. Alcune vivono per strada, altri da amici, o in insediamenti informali…”. Una condizione non considerata dalle istituzioni. Proprio per sollecitare la necessaria assunzione di responsabilità, e pensando a soluzioni concrete vista l’emergenza in corso, Associazione Progetto Accoglienza con lo sportello Zonafranca e la rete A.N.G. Accoglienza Non Governativa hanno elaborato una misura pratica: “Abbiamo inoltrato di nuovo, o in alcuni casi per la prima volta, le richieste di accesso, sulla base del decreto presidenziale che chiede di portare avanti misure per il contenimento del contagio, oltre che in considerazione della giurisprudenza che parla di non retroattività della legge 132, facendo quindi presente che è illegittimo impedire l’accesso all’accoglienza laddove le persone abbiano avanzato richiesta prima della legge”, spiega Paola Coppini dello sportello legale di Progetto Accoglienza, oltre che parte del Forum per cambiare l’ordine delle cose. La richiesta è stata inviata al servizio centrale del SIPROIMI, mettendo in copia la prefettura. “Il nostro obiettivo è muoverci con le reti del territorio, per far diventare una prassi questo tentativo. Proprio per questo vogliamo diffondere la richiesta elaborata, così che chiunque possa utilizzarla, eventualmente modificandone i dettagli a proprio uso: è un materiale utile nel contesto in cui ci troviamo”. La richiesta è scaricabile cliccando qui.