Due fratelli. Entrambi in Italia da oltre tre anni, dopo aver lasciato il proprio paese, l’Iraq, a causa di persecuzioni. Uno ancora stabilmente residente e titolare di protezione internazionale. L’altro da due mesi è detenuto in una struttura in Danimarca, dove attende la misura di rimpatrio forzato che è stata decisa per lui.
E’ una storia assurda quella di M., 28enne iracheno coinvolto suo malgrado nei meccanismi del Regolamento Dublino, per cui solo nel 2019 oltre 145mila persone sono state trasferite forzosamente all’interno dell’Unione Europea (per un approfondimento sulla questione rimandiamo all’articolo “I dublinati , ecco il valore della vita dei richiedenti asilo per l’europa” scritto dall’associazione Pensare Migrante e pubblicato su Intersezionale.
Nel 2017 ha lasciato la Danimarca, che aveva rigettato la sua domanda di protezione, mantenendo un atteggiamento drammaticamente coerente: su 100 istanze di cittadini iracheni, solo 7 quelle accolte, in una dinamica che sembra prendere in considerazione più l’origine nazionale che la storia personale del richiedente. Per questo si è rivolto all’Italia, chiedendo il sostegno del team legale di Pensare Migrante, realtà nata a marzo 2020 dall’incontro di diversi attivist* e focalizzata su attività di informazione e supporto alla tutela dei diritti. “Prima che potessimo agire, a settembre 2020 l’Italia lo ha trasferito in Danimarca, dopo oltre 3 anni di soggiorno in questo paese, e nonostante la Danimarca lo voglia deportare in Iraq”.
E’ una storia assurda quella di M.: ma a ben vedere ad essere assurde sono le leggi, che consentono di trattare le persone come pacchi, spostandole da un paese all’altro, deportandole nei luoghi da cui sono fuggiti, dividendo le famiglie. Al fratello di M. l’Italia ha riconosciuto lo status di rifugiato. Chiediamo che anche M. possa veder tutelato il diritto ala protezione, associandoci all’appello di Pensare Migrante, che ha lanciato una petizione a cui mancano poche firme per raggiungere l’obiettivo.