Perché pensiamo che il patto europeo migrazioni e asilo non deve essere votato

Alla fine dello scorso anno il consiglio e il parlamento dell’Ue hanno trovato una intesa sul Patto europeo asilo e migrazioni. Ora l’accordo dovrà essere votato e approvato nelle prossime settimane dal parlamento. Il ministro dell’interno italiano, Matteo Piantedosi, ha salutato l’intesa in maniera positiva, dichiarando che con il Patto l’Italia e l’Europa potranno contare su nuove regole per gestire in maniera solidale le migrazioni e superare il regolamento di Dublino. Ma è davvero così?

Nove organizzazioni della società civile stanno portando avanti da tempo su vari territori una Road Map per il diritto d’asilo e la libertà di movimento con l’obiettivo di informare sulle conseguenze che l’approvazione di questi testi avranno sui diritti dei migranti e sulla democrazia interna all’Unione.

In quest’ottica, abbiamo elaborato varie simulazioni che dimostrano come il Patto Europeo migrazioni e asilo rappresenti una strategia profondamente sbagliata perché fondata su azioni di chiusura e aumento dei muri fisici ed elettronici e nuovi respingimenti.

Si tratta di un Patto dal Pessimo Impatto se si guardano a tutte le azioni previste dai 5 regolamenti. Perché, in generale, mettono in campo una risposta repressiva e restrittiva ad una crisi che non trova riscontro neanche nei numeri, perché gli arrivi di migranti nell’UE sono in calo rispetto al picco del 2015 di oltre un milione di persone.

I regolamenti screening e procedure prevedono la creazione di centri di detenzione alle frontiere in cui sarà possibile trattenere tutte le persone che hanno scarso successo di poter ricevere asilo, anche le famiglie con minori. Ma oltre alla violazione dei diritti umani, c’è un problema di fattibilità di questo piano. Vediamo perché l’Italia sarà uno dei paesi che pagherà il prezzo più alto. Prendiamo in considerazione tre diversi scenari.

Scenario di crisi (anno 2016). In quell’anno sono sbarcate in Italia 181.436 persone. Secondo i dati dell’Unhcr soltanto 23.373 sono di quelle nazionalità, Eritrea, Iraq, Siria, che hanno un tasso di riconoscimento della protezione superiore al 75%. Dunque, secondo quanto prevede il Patto, soltanto queste persone avrebbero avuto normale accesso alla procedura d’asilo. La restante parte dei richiedenti asilo, ovvero 158.063 persone, avrebbero dovuto affrontare la procedura di frontiera, cioè rimanere negli hotspot e nei centri per i rimpatri, con una disponibilità di posti di 2000. E dove avremmo ospitato tutte le altre persone? Da ciò sarebbero derivati problemi logistici significativi. A riprova del fallimento del sistema, si aggiunge, inoltre, il fatto che tra i richiedenti asilo con il tasso di protezione più basso (di origine nigeriana) soltanto il 14 % sono stati quelli rimpatriati.

Scenario normale (anno 2020) In quell’anno, anche a causa della pandemia sono sbarcate in Italia 34.154 persone. Secondo i dati del ministero dell’interno, tra queste, 3.134 richiedenti avrebbero avuto accesso alla normale procedura di asilo, avendo una nazionalità con un tasso di riconoscimento europeo (Afghanistam, Iran, Sudan) pari al 20%. Le altre 31.050 persone sarebbero state trattenute nelle strutture di detenzione di frontiera (hotspot e Cpr) che a quel tempo disponevano di 3000 posti. E, anche qui, i conti non tornano. Ad esempio quelli dei rimpatri dei cittadini con il tasso di protezione più bassa, i tunisini, che per quell’anno hanno un tasso di rimpatrio pari al 13%.

Scenario pressione attiva (anno 2023) Lo scorso anno 157.652 persone sono sbarcate in Italia. Tra queste, circa 63.949 richiedenti asilo avrebbero avuto accesso alla normale procedura d’asilo (Guinea, Costa d’Avorio, Mali, Sudan, Siria, Burkina Faso). 93.703 persone sarebbero state trattenute negli hotspot e nei Cpr che hanno mantenuto una capienza sostanzialmente invariata. Dove avemmo portato le altre 90000 persone? Anche perché pure per il 2023 si nota il fallimento del sistema dei rimpatri, dato che i cittadini bengalesi e quelli tunisini, che sono quelli a più probabile rischio di rimpatrio, hanno avuto per l’anno precedente un tasso di respingimento inferiore al 10%, rispettivamente il 6 e il 9 per cento.

Il meccanismo di solidarietà è opaco. In tutti e tre gli scenari, secondo le previsioni contenute nel Patto, l’Italia potrebbe attivare il meccanismo di solidarietà, chiedendo così aiuti economici agli altri stati. Ma in tutti i casi non è stato stabilito un criterio preciso per determinare la portata e il tipo delle misure di solidarietà di cui uno Stato potrebbe avvalersi.

Il sistema volontaristico ha fallito Nel 2015 l’UE avrebbe dovuto ricollocare negli altri stati membri, in due anni, 40000 richiedenti asilo presenti in Italia. Quando è scaduto il programma di solidarietà, il 27 settembre del 2017, erano stati ricollocati 9.078 persone. E, dall’altro paese di primo ingresso, la Grecia, sono state ricollocate 20.066 persone su 60.000 che vi erano presenti. È evidente che gli aiuti economici e di tipo logistico previsti dal Patto migrazioni e asilo non sarebbero bastati a controbilanciare la mancata rilocazione della maggior parte dei richiedenti asilo.

Che fare, dunque? Ora l’accordo dovrà essere votato dal Parlamento. Come abbiamo visto, è un compromesso al ribasso che non fa né gli interessi delle persone rifugiate, né quelli dei paesi di primo ingresso come l’Italia, né quelli dell’Europa come entità democratica. Per questo, da attivisti, italiani, ma, soprattutto, da cittadini europei, chiediamo ai parlamentari di non votare quel Patto. Un voto che avrebbe il profondo significato politico di restituire all’Europa e al Parlamento lo scettro di una sovranità ormai perduta. Tutto questo l’abbiamo ribadito qualche giorno fa durante il convegno del partito democratico “Prima le persone” che si è tenuto a Roma il 19 e 20 gennaio. Ora vi è l’urgenza di rilanciare questo messaggio: Il Patto europeo migrazioni e asilo non va votato così come è, nella sua attuale formulazione.

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