Sotto i portici di piazza Vittorio, al bistrot Gatsby, Lamine sorseggia un caffè e mangia dei biscotti. Arriviamo che il sole sta calando su questo pezzo di Roma multietnica. «Oggi ho riposato completamente, ma mi sono comunque svegliato presto, ho fatto colazione e sono uscito con alcuni miei amici, è tutto il giorno che sono in giro», premette l’uomo, quando gli chiediamo di raccontarci la sua giornata.
Lamine abita a Frosinone ed ha sempre vissuto nel Lazio. Quattro anni a Castelnuovo di Porto, nell’ex Cara, acronimo di Centro di Accoglienza Richiedenti Asilo, uno dei centri più grandi d’Italia chiuso da un giorno all’altro, nel 2019, nelle more dei “decreti sicurezza”. Era il 23 gennaio quando dal Cara che si trovava a 54 km da Roma partirono tre autobus con 75 persone a bordo e, il giorno precedente, ne erano partite delle altre, destinazione sconosciuta. Il Centro, che era aperto dal 2008, fu svuotato in pochi giorni con una decisione congiunta del ministero dell’interno e dell’allora prefetta di Roma, Paola Basilone. In realtà, la struttura andava chiusa, spiegò la funzionaria a capo della prefettura capitolina, perché «l’appalto in favore della cooperativa Auxilium era stato prorogato più volte e non erano possibili ulteriori proroghe», disse Basilone. A farne le spese, però, furono quelli come Lamine che da un giorno all’altro si trovarono senza un posto dove vivere.
E, tuttavia, quel Centro – l’uomo – lo ricorda come un posto in cui non ha vissuto per niente bene, sporco, con il cibo scadente, sovraffollato, dove vivevano infatti 500 persone. Un ricordo certamente migliore, invece, Lamine, lo conserva dell’ex Sprar dove è stato poi ospitato in provincia di Frosinone, ad Arce, fino alla fine del 2019. Lamine è nato in Gambia e, dopo aver fatto la domanda di protezione internazionale, ha ricevuto la protezione umanitaria, «ma poi è arrivato Salvini», esclama – smorzando un sorriso – «e ci ha messo tutti nei guai».
Oggi Lamine vive in una casa grande insieme a tre connazionali che sono anche suoi amici, ha all’attivo un corso da giardiniere, un periodo di lavoro in Spagna, in Catalogna, dove lavorava in campagna, e un impiego in una azienda del basso Lazio che montava pannelli solari. La nostra chiacchierata con lui prosegue facendo riferimento al nuovo lavoro che ha trovato da qualche settimana come muratore in una azienda della provincia di Viterbo.
Lamine è timido, è di poche parole, inizialmente, ma poi si apre con noi, raccontando alcuni episodi razzisti che ha subito in passato da una parte della popolazione italiana, per esempio; anche se, dell’Italia, dice di apprezzare molto la nostra cultura, i monumenti e, in fondo, con tutte le difficoltà, di trovarsi molto bene. Ha 31 anni, è arrivato a Pozzallo dieci anni fa, poi ha sempre vissuto nel Lazio, ha lasciato nel suo paese due sorelle più piccole, e le aiuta mandandole spesso denaro che servono per i loro studi. Un’altra sorella dell’uomo vive in Germania, a Monaco di Baviera.
Più in generale, anche se oggi Lamine ha riposato completamente – come ha detto all’inizio della nostra chiacchierata – la vita di ogni giorno è molto faticosa. Sveglia alle 3.40 per raggiungere il cantiere della provincia di Viterbo dove è impiegato, e poi lì vi rimane fino alle 16.00. «Stiamo costruendo un palazzo molto alto ora, faccio i lavori di intonaco prevalentemente», racconta, e riferisce di avere un problema con il documento perché la sua protezione umanitaria è scaduta. Aspetta di poter convertire il titolo in un permesso di soggiorno per lavoro di lunga durata, ma intanto Lamine attende. È un precario del soggiorno, anche lui.
SGUARDI MIGRANTI – storie di protezione speciale è un progetto della Campagna #Paradossiall’italiana, sostenuto dalla Fondazione Migrantes con i fondi dell’Otto per Mille della Chiesa Cattolica e con il contributo dell’ Otto per Mille Valdese”