Città del nord Italia più profondo, identificata come “culla” di un partito politico che di certo non viene associato all’accoglienza, la tappa varesina per l’elaborazione di un “Patto europeo sulle migrazioni dal basso” ha smentito diversi luoghi comuni. La sera dell’11 aprile ha visto infatti il Salone Estense colmo di persone, ed è stata questa anche l’occasione per presentare e mettere in rete le realtà che sul territorio, quotidianamente, hanno a che fare con le persone migranti.
IL CONTESTO GLOBALE
La premessa alla discussione si è focalizzata, grazie ai dati esposti da Stefano Catone, sulla dimensione internazionale delle migrazioni, evidenziando in maniera molto chiara come l’Unione europea, e l’Italia in particolare, non siano interessati che dalla coda finale di processi migratori molto più grandi e complessi. Basti pensare che, nel 2022, sono state stimate oltre 108 milioni di persone costrette a fuggire dalla propria casa. Di queste, 62,5 milioni si sono spostate da una regione all’altra del proprio Paese, senza superare alcun confine nazionale. Oltre il 70% di chi, invece, ha abbandonato il proprio Paese si è rifugiato in un Paese confinante, spesso un Paese a basso reddito e interessato anch’esso da fenomeni migratori massicci. Nel 2023, i Paese dell’Unione più Norvegia e Svizzera hanno ricevuto 1,14 milioni di domande di protezione internazionale. Il nostro continente, come dicevamo, è interessato da una minima parte dei processi migratori globali.
IL PATTO EUROPEO
Gianfranco Schiavone ha preso la parola per illustrare i contenuti del patto, sottolineando come poche ore prima il Parlamento europeo avesse approvato lo stesso, di fatto tracciando la rotta per le politiche migratorie europee degli anni a venire. Nonostante ciò, Schiavone ha invitato tutti i presenti a continuare a tenere alta l’attenzione, guardando soprattutto alle applicazioni pratiche e alle ricadute concrete che il patto avrà sui diversi territori. Schiavone ha inoltre ricordato come il diritto d’asilo sia un diritto che compete alla persona in quanto tale, sulla base della propria condizione personale, che non viene concesso da uno Stato, ma che lo Stato deve “limitarsi” a riconoscere. La tutela del diritto d’asilo nasce in particolare nel secondo dopoguerra, su iniziative di popoli e persone che di quel diritto avrebbero dovuto beneficiare, ma che non hanno potuto. In questo senso, l’asilo si pone alle radici della cultura e della cittadinanza europea, e di un’idea di Unione europea quale luogo dei diritti e luogo in cui questi diritti vengono riconosciuti e tutelati.
VOCI DAL TERRITORIO
La prima voce che si è espressa è stata quella di Moises Calles, presidente della comunità salvadoregna in provincia di Varese che conta circa 700 aderenti. Calles ha sottolineato le grandi difficoltà che i suoi connazionali trovano, nonostante non gli sia richiesto un visto, per permanere regolarmente sul territorio italiano. Anche per chi soggiorna regolarmente le difficoltà e le discriminazioni sono numerose: nella ricerca lavoro, nelle possibilità date ai loro figli che non sono ancora cittadini italiani (progetti educativi all’estero, ad esempio), nell’accesso ai servizi sanitari e alle attività sportive. Le proposte hanno riguardato soprattutto, inevitabilmente, il ruolo dello Stato, che dovrebbe essere più efficiente sul fronte burocratico e che dovrebbe farsi carico di servizi spesso delegati al volontariato.
A seguire, gli assessori Roberto Molinari (comune di Varese) e Riccardo Del Torchio (comune di Besozzo) hanno posto il focus della discussione sul ruolo svolto in questi anni dagli enti locali. La lettura dei due rappresentanti istituzionali si è concentrata sul mancato superamento di un sistema di accoglienza in cui vige come regola – ancora, e a distanza di anni – l’emergenzialità Sia Varese che Besozzo aderiscono da tempi non sospetti alla rete SAI (Sistema Accoglienza Integrazione), ex SPRAR. In questo passaggio, da un acronimo all’altro, Molinari e Del Torchio, e con loro gli enti gestori, hanno denunciato un cambiamento di prospettiva rispetto al ruolo che svolgono: da realtà portatrici di saperi, esperienze, possibilità, sarebbero diventati elementi problematici. I tempi incerti di accoglienza, che inevitabilmente incidono sull’efficacia di percorsi formativi che portino verso l’autonomia completa della persona, insieme a un rapporto col sistema centrale che si è evoluto sempre più verso il controllo, sono stati individuati come fattori determinanti questo cambio di prospettiva.
Sempre tra le voci del territorio, Jacques Amani, presidente dell’associazione 100venti APS -emanazione della Camera del Lavoro Territoriale CGIL di Varese – ha relazionato sugli aspetti che legano migrazione e lavoro. Al riguardo, il punto imprescindibile è quello che ora rappresenta la più forte minaccia alla regolarità del soggiorno, e cioè la perdita del lavoro. Una persona straniera che risiede regolarmente e lavora regolarmente, se viene licenziata rischia di cadere nell’irregolarità. Si tratta di un vincolo da superare al più presto. Jacques Amani ha inoltre posto il tema del ricongiungimento familiare, denunciando situazioni limite in cui le istituzioni hanno avanzato richieste al limite dell’assurdo per riconoscere un diritto.
Filippo Cardaci, avvocato, ha successivamente relazionato su come il Patto europeo su migrazioni e asilo potrebbe incidere dal punto di vista legale e giuridico. Le criticità riguardano soprattutto le procedure accelerate alla frontiera – identificata come soglia da non valicare – che determinano e pregiudicano l’effettiva possibilità di potersi vedere riconosciuta una qualche forma di protezione internazionale. Altra importante criticità riguarda la definizione dei cosiddetti “Paesi sicuri”: le persone provenienti da questi ultimi vengono valutate tenendo conto appunto di questa etichetta, mettendo in secondo piano la storia personale che dovrebbe essere alla base del riconoscimento del diritto d’asilo.
In conclusione, Roberta Bettoni ha prodotto e illustrato un quadro delle realtà varesine che si interfacciano con persone migranti e straniere, delineando una realtà complessa, multiforme, cui partecipano soggetti con competenze e caratteristiche peculiari che, nei fatti, coprono un ampio spettro di servizi, possibilità di cura e di possibili percorsi formativi.
IN CONCLUSIONE
Nel dibattito conclusivo sono emerse ulteriori criticità e proposte, tra le quali ricordiamo il tema dell’abitare, che si pone con particolare urgenza nel momento della fuoriuscita della persona dal SAI. Si è inoltre sottolineata una eccessiva difficoltà nel reperire informazioni chiare e semplice rispetto al diritto a soggiornare, complice anche l’ostacolo della lingua. In generale è stato rilevato una scarsa partecipazione delle istituzioni al sistema di accoglienza, delegando all’iniziativa di pochi – e spesso volontari – la presa in carico della questione.
Dai partecipanti è sicuramente emersa la volontà di partecipare, di continuare a essere vigili, e di continuare a costruire una rete che sia sempre più fitta e robusta, sia per sopperire alle mancanze delle istituzioni sia per affrontare le difficoltà che sicuramente il nuovo Patto europeo determinerà.
Hanno aderito all’iniziativa: nazione Umana, Coop Intrecci, Coop San Martino, Coop Lotta contro l’emarginazione, Camminiamo Insieme, Dikuntu odv, CGIL, Coop San Luigi, Pane di S. Antonio, Collettiva, 100venti, Sanità di frontiera, Rete Varese senza frontiere, Stop Border Violence, Refugees Welcome, CNCA, Filmstudio90.